I battaglioni Vicenza e Monte Berico nella battaglia d’arresto sull’Altopiano

1917

Alla prima parte della battaglia i nostri battaglioni alpini vicentini non furono direttamente interessati, poiché erano ancora in fase di riorganizzazione dopo l’avventuroso ripiegamento dal fronte isontino.

Come si ricorderà, quello che rimaneva del 10° gruppo alpini, circa 800 uomini agli ordini del maggiore Campini, era giunto il 10 novembre a Cervarese Santa Croce (Padova), a pochi chilometri da Montegalda. Lì attese inutilmente ordini, per cui fu deciso di recarsi direttamente al Comando della 1ª armata, che risiedeva a Vicenza, per ricevere disposizioni.
Di fronte alla determinazione degli alpini che erano risoluti a combattere ancora, il Comando dispose che restassero un altro giorno a Bassano, in modo da accogliere i complementi per i quali fu fatta una richiesta urgente, quindi furono distribuiti vestiario, munizioni, viveri.
Il 17 novembre i battaglioni Monte Berico e Vicenza mossero da Bassano per il Canal di Brenta, per eseguire lavori di sbarramento su una linea arretrata, mentre il Val d’Adige e il Morbegno furono destinati da Costa Solana al monte Bastia.

Due giorni dopo giunsero anche i resti delle compagnie mitragliatrici del Gruppo, le compagnie 559, 560 e 820; si trattava di due mitragliatrici Fiat e di pochi uomini, che furono inseriti in un unico reparto con altre due armi riportate dall’Isonzo. Nello stesso giorno giunsero al battaglione Monte Berico 220 complementi con 5 ufficiali, costituenti una compagnia di reclute del 1899, formata da 4 plotoni e proveniente dal forte S. Marco in val Lagarina. Tra essi anche Emilio Michelato, alpino di San Quirico, che avrà la fortuna di sopravvivere ai disagi e ai combattimenti dell’ultimo anno di guerra. Il capitano Reina decise di lasciare integra questa compagnia e di non smistarla nelle altre tre, come pure decise di lasciare a questa gli stessi ufficiali che l’avevano istruita.

I battaglioni Monte Berico e Vicenza giunsero quindi in linea quando la prima fase della battaglia era ormai conclusa.

– Le pendici orientali delle Melette di Foza –

Il 26 novembre, il Berico si posizionò nei pressi di Lazzaretti, piccolo abitato alle pendici del monte Badenecche, sempre in rincalzo alla linea, di riserva al Vicenza che era schierato dal monte Badenecche (esclusa la vetta) alla strada di Lazzaretti, e dislocava la sua 59ª compagnia in alto, a contatto con i bersaglieri. A destra del Vicenza era posizionato il battaglione Sette Comuni. Per la seconda parte della battaglia, il piano austriaco del generale Conrad, comandante del Gruppo Eserciti del Tirolo, era di attaccare nuovamente il nodo delle Melette, cercando di avvolgere la difesa italiana per le ali, poiché era impossibile un attacco frontale, come aveva dimostrato la prima fase della battaglia.

La disparità delle forze in campo sul fronte della 29ª divisione era considerevole: a 21 battaglioni italiani sostenuti da 160 cannoni, si contrapponevano circa 44 battaglioni austroungarici con 500 pezzi d’artiglieria. Fin dal pomeriggio del 3 dicembre, l’artiglieria austriaca iniziò il tiro d’inquadramento, subito sostenuto con granate a gas ed aumentato durante la notte sul 4. Alle ore 23 giunse un ordine che portava il Monte Berico a rincalzo del 6° bersaglieri in difesa del Badenecche; il reparto si trasferì pertanto in prossimità delle rocce di quota 1400.

Stava per iniziare la seconda fase della battaglia d’arresto sull’Altopiano e, come già sul Cukli, il battaglione Monte Berico giungeva in linea durante la notte precedente all’attacco nemico, con le inevitabili impossibilità di riconoscere efficacemente le posizioni.

“Notte sul 4 dicembre 1917. Folate di vento gelido spazzano le candide cime dell’acrocoro. I soldati di entrambe le parti, vedette escluse, a malapena difendono dal freddo intenso il loro sonno carico d’incubi in basse trincee, strette tane di volpe, miseri ricoveri o umide caverne, mentre la neve comincia a cadere sbizzarrendosi in mille e mille mulinelli di tormenta. Alle ore 4 del mattino, l’oscurità della notte invernale viene squarciata da un continuo susseguirsi di lampi cui fa seguito il rombo sinistro dei cannoni: è l’artiglieria austriaca, coadiuvata da batterie tedesche di medio calibro, site in Val di Galmarara, che inizia il bombardamento su tutta la fronte italiana. Sono 500 bocche da fuoco, fra cui 6 mortai da 305 mm., che rovesciano sulle nostre posizioni una valanga di ferro, di fuoco e di gas tossici. Il tiro già intenso, assume, verso l’alba, carattere distruttivo, in particolar modo contro le retrovie di Sasso e di Campi di Mezzavia e contro il Tondarecar ed il Badenecche. Anche la nostra artiglieria apre il fuoco d’interdizione davanti ai tratti di linea che più si prestano agli attacchi avversari. Gli effetti del bombardamento sono spaventosi: reticolati, cavalli di Frisia, trincee e camminamenti sono sconvolti e i difensori vi sono letteralmente sepolti. Le linee telefoniche sono interrotte ovunque e vi è impossibilità d’uso degli eliografi a causa del cattivo tempo: per le comunicazioni fra reparto e reparto e fra Comandi non restano che gli umili, eroici, incredibili portaordini…”.

Nel settore destro dello schieramento italiano, tra il Tondarecar e il Badenecche, tenuto dai bersaglieri, si avventarono le brigate da montagna austriache che riuscirono a raggiungere l’insellatura tra le due cime. Dapprima contrastati, gli attaccanti riuscirono poi ad ampliare l’occupazione e a minacciare da dietro i reparti italiani che resistevano sulle due sommità. Poco dopo, conquistarono la quota 1639 del Tondarecar e si gettarono verso la testata di Val Vecchia.

– Il trissinese Giovanni Caderbe –

– Il trissinese Giuseppe Caletti –

– Il recoarese Giorgio Aldighieri, medaglia di bronzo –

– Il settore di combattimento del 10° gruppo alpini sulle Melette di Foza 

Sulla sommità del monte e sul Badenecche l’artiglieria continuava il martellamento, sterminando su quest’ultima posizione ciò che restava dei bersaglieri. Verso le 10 del mattino, durante una pausa del bombardamento, il capitano Reina, comandante del Berico, non avendo ricevuto alcun ordine, nonostante il combattimento in corso, salì verso la linea e raggiunse la baracca del Comando settore che trovò vuota; vide invece gli austriaci che scendevano sul versante della Val Vecchia ed altri che, superata la sommità del Badenecche, stavano piazzando le mitragliatrici per battere il rovescio del monte. Resosi conto della situazione, Reina tornò al battaglione e, consultandosi velocemente con gli altri ufficiali, decise di passare al contrattacco, sotto l’impietoso fuoco nemico. Così un ufficiale del Berico:

“L’ordine fu “baionetta in canna, fucile in posizione di sicurezza, ufficiali in testa, avanti all’assalto”. Il nostro comandante, tenente Cacciatori, incitò i suoi alpini gridando “alpini del 99 il nemico è là! Avanti!” e, alla testa del 1° plotone, mosse all’attacco seguito da altri plotoni. Si accesero allora mischie furibonde e i nostri giovanissimi soldati mostrarono che gli insegnamenti dei loro superiori avevano dato buon frutto. Colpiti a morte il tenente Cacciatori e il sottotenente Avanzi, ferito il tenente Zaniboni e un altro di cui non ricordo il nome, sono rimasto solo a comandare la Compagnia con alla dipendenza l’aspirante Naldi. Avuto l’ordine di attaccare alla baionetta, ho raccolto gli uomini, rincuorandoli, e ci siamo gettati su, di nuovo, contro una nuova massa che scendeva, ricacciandola, facendo prigionieri e prendendo una mitragliatrice…”.

A sostenere gli sforzi dei pochi superstiti del Berico, intervennero anche alcuni gruppetti di alpini del Bassano. Il battaglione, giunto alle 7,30 del mattino proveniente da Valstagna, fu subito inviato a sostegno del Vicenza, seriamente impegnato sul versante orientale del Badenecche. Il cedimento dei bersaglieri sulla vetta del Badenecche aveva aggravato la situazione della 59ª compagnia del Vicenza, già battuta dal tiro violento dell’artiglieria austriaca. Minacciato di aggiramento da sinistra, nonostante una caparbia resistenza, il reparto fu costretto a retrocedere.

La 60ª compagnia dello stesso battaglione e le altre compagnie del Bassano che erano di riserva eseguirono immediatamente un contrattacco e riuscirono a difendere parte delle trincee, fare una sessantina di prigionieri e catturare qualche mitragliatrice. Nonostante ciò, nuove truppe fatte affluire a sostegno degli attaccanti, fecero fallire il tentativo italiano e piazzarono altre mitragliatrici che battevano l’ormai tenue linea di resistenza. Gli austriaci, infiltratisi nelle larghe falle dello schieramento italiano, inflissero serie perdite agli alpini che a loro volta dovettero ripiegare. In seguito a questi avvenimenti, la linea tenuta dagli alpini fu precariamente imbastita sotto la cresta del Badenecche.

E venne la notte sul 5 dicembre, fortunatamente senza alcun attacco da parte degli austriaci. Ma allo spuntare delle prime luci, la battaglia riprese con inaudita violenza, tale da costringere il comandante della divisione a ordinare la ritirata. Gli alpini a piccoli gruppi retrocedettero combattendo lungo la Val Vecchia, quando ormai erano circondati, e ripiegarono per Val Capra.

Iniziò dunque il ripiegamento il battaglione Vicenza che, combattendo e lasciando sul terreno diversi caduti, riuscì ad aprirsi un varco nella stretta avversaria, e lo seguì subito il Bassano. Ma ormai le truppe austriache, sempre più consistenti, avevano sbarrato la Val Vecchia precludendo la ritirata del Monte Berico. Il capitano Reina decise quindi di puntare con i pochi superstiti su Foza, che trovarono già occupata, per cui si diressero verso la Croce di San Francesco, da dove, per un terreno scosceso e pericoloso, raggiunsero la sottostante Val Frenzela, inseguiti dal tiro delle pattuglie austriache.
Anche il battaglione Monte Stelvio, impegnato nella zona adiacente, rimase nel suo settore fino alle 17; solo allora il suo comandante ebbe la notizia della ritirata degli altri battaglioni. Ordinò pertanto il disimpegno; le compagnie seguirono la mulattiera di fondo Val Vecchia sotto il tiro delle mitragliatrici austriache da entrambi i versanti della valle e giunsero presso la 2ª galleria, sotto i roccioni del Cornone, dove trovarono una improvvisata linea di difesa, preparata nel primo pomeriggio personalmente dal generale Andrea Graziani che, raccogliendo le truppe che si ritiravano disordinatamente, riuscì ad allestire uno sbarramento della Val Vecchia e della Val Frenzela, le due valli attraverso le quali i reparti austriaci avrebbero potuto scendere a Valstagna, invadere la Val Brenta e puntare direttamente su Bassano e sulla pianura veneta.

I pochi alpini del Monte Berico riusciti a sfuggire alla cattura si radunarono in Val Brenta e si presentarono al comandante del 10° gruppo alpini, colonnello Bes. Dei 300 uomini e 17 ufficiali che il 22 novembre erano saliti a Foza, soltanto 37 furono gli alpini che resero gli onori al colonnello Bes.

Secondo le già citate fonti del Ministero della Guerra, nel periodo 22 novembre – 10 dicembre 1917 il battaglione Monte Berico ebbe 23 morti, 42 feriti e 165 dispersi, mentre il Vicenza registrò 17 morti, 183 feriti, 171 dispersi. Del resto le perdite subite dai reparti impegnati nella battaglia delle Melette furono rilevanti. La sola 29ª divisione denunciò 539 ufficiali 14.263 soldati e il 9° gruppo alpini, quello più direttamente interessato agli scontri, ebbe approssimativamente 50 ufficiali e 2000 alpini.
Tra i caduti, anche alpini della valle dell’Agno.

Nei primi giorni della seconda fase della battaglia d’arresto sull’Altopiano, scomparvero due alpini di Trissino, diciottenni della classe 1899, da pochi mesi sotto le armi: Caderbe Giovanni, 18 anni, di Gaetano e Pellizzaro Maria, “disperso il 4 dicembre 1917 sull’Altipiano di Asiago in combattimento”; il 5 dicembre Caletti Giuseppe, 18 anni, di Luigi e Gorinelli Teresa, scomparve sul Badenecche.

Fu dichiarato irreperibile il 26 giugno 1919. Ferito il 4 dicembre sul Badenecche, morì il 13 presso la 50ª sezione di sanità Belluzzo Giovanni, anni 21, di Pietro e Fochesato Regina, bottegaio di Altissimo. Apparteneva al battaglione Monte Berico. Tre nostri alpini furono decorati al Valor Militare per il loro comportamento nei combattimenti sul Badenecche:

Aldighieri Giorgio, di Recoaro, classe 1892, sergente del 6° Reggimento Alpini, Medaglia di Bronzo: “Durante un nostro furioso contrattacco si gettava arditamente con la propria squadra, incitata dal suo esempio, contro il nemico ricacciandolo. Ferito continuava ad animare i dipendenti con la parola. Monte Badenecche, 4 dicembre 1917”.

Cabianca Ilario, di Brogliano, classe 1895, soldato del 6° Reggimento Alpini, Medaglia di Bronzo: “Durante un nostro furioso contrattacco, di bello esempio ai compagni, si slanciava per primo contro il nemico, strappandogli una mitragliatrice e delle munizioni. Monte Badenecche, 4-5 dicembre 1917”.

Marchesini Clemente, di Valdagno, classe 1899, soldato del 6° Reggimento Alpini, Medaglia di Bronzo: “Sempre primo durante un nostro contrassalto, dava bello esempio di alto valore e di sprezzo del pericolo. Monte Badenecche, 4 dicembre 1917”.

A completare il triste elenco degli alpini della nostra valle morti nel dicembre 1917, vi sono Urbani Alessandro, anni 26, contadino di Cornedo, figlio di Luigi e Meneguzzo Maria, morto per malattia presso l’Ospedale di Verona il 5 dicembre 1917 e Fochesato Pietro, anni 20, di Valentino e Farinon Angela, contadino di Altissimo, morto a Milano per malattia il 24 dicembre 1917. Con la battaglia d’arresto sugli Altipiani e sul Grappa, il Regio Esercito era dunque riuscito a fermare il tentativo austrotedesco di scardinare lo schieramento difensivo determinatosi dopo il tragico sfondamento di Caporetto. Il successo diede fiducia al Paese e ai combattenti, con la consapevolezza che il momento più critico era stato superato.
Il 23 dicembre, dopo alcuni giorni di riposo e di assestamento a Costa Solana, il battaglione Monte Berico ritornò in linea lungo il versante sud est del Sasso Rosso, sul fronte che dalle falde del Cornone scendeva in fondo Val Brenta. Il Vicenza, sceso dall’Altopiano la sera del 6 dicembre, sostò alcuni giorni ad Oliero. Poi si portò a Solagna, sul Canal di Brenta, dove rimase fino alla fine dell’anno, impiegato in lavori di rafforzamento allo sbarramento di Mugnano.
Mentre i nuovi complementi arrivavano a ricomporre per l’ennesima volta le assottigliate file dei plotoni, al battaglione Vicenza fu assegnata, come si è visto, ciò che rimaneva della 260ª compagnia del disciolto Val Leogra e contemporaneamente i resti della 259ª affluirono al Monte Berico.

di  Claudio Gattera