Battaglia dei Tre Monti

San Francesco di Val Frenzela (28 gennaio 1918)

Con il nome “battaglia dei Tre Monti” sono chiamate le operazioni che negli ultimi giorni di gennaio 1918 si svolsero per la conquista delle posizioni di monte Valbella, Col del Rosso, Col d’Ecchele. Come si è visto, nei cruenti combattimenti tra il 23 e il 25 dicembre i tre caposaldi principali erano stati conquistati dalle truppe austroungariche e la difesa italiana era stata costretta ad allestire l’ultima resistenza sul ciglio meridionale dell’Altopiano.
Ora, questo tratto difensivo era precario e fragile, non aveva profondità e, in caso di una nuova offensiva, non si sarebbe potuto arrestare l’assalto degli imperiali e impedire loro di dilagare nella pianura vicentina. Per questi motivi i comandi italiani pensarono all’azione offensiva, che appunto passa alla storia con il nome di “battaglia dei Tre Monti”.L’attacco principale fu affidato alla 33ª divisione che con tre colonne doveva puntare sui “Tre Monti”. L’operazione comprendeva anche azioni sussidiarie che avrebbero preceduto o integrato quella principale.

– Il settore della Croce di San Francesco visto dal monte Grappa –

– Il settore dell’Altopiano interessato dalla Battaglia dei Tre Monti 

Una di queste era diretta alla Croce di San Francesco e al Sasso Rosso da parte della 52ª divisione alpina, cui apparteneva anche il battaglione Monte Berico che, come si è visto, fin dal 23 dicembre era tornato in linea sul versante orientale di quest’ultima località.
E proprio contro Sasso Rosso e Croce di San Francesco furono destinati i battaglioni alpini Monte Berico, Val d’Adige, Sette Comuni, Stelvio, Bassano, agli ordini del 10° gruppo alpino.

L’obiettivo del battaglione Monte Berico era quota 1138 di Croce di San Francesco, anche se il compito principale dell’azione era deciso, già da tempo, spettasse al battaglione Sette Comuni. L’azione tattica prevedeva l’impiego diretto di due compagnie di detto reparto, con la 143ª e la 108ª del Monte Berico a immediato rincalzo, mentre la 93ª avrebbe concorso all’attacco operando sul versante della val Vecchia.
A mezzogiorno del 27 gennaio 1918, il corpo d’armata italiano iniziò, secondo il piano d’attacco, il fuoco di preparazione nel settore sinistro del fronte di operazione, provocando la risposta dell’artiglieria austriaca. A sera, con le truppe destinate all’azione contro lo sperone di San Francesco, anche il battaglione Monte Berico si portò in posizione.

Così il comandante del reparto descrisse l’immediata vigilia dell’attacco:

La sera sul 28 gennaio – scarpe avvolti in sacchi a terra per evitare rumori – si iniziarono le prodigiose scalate a mezzo funi o abbracciandosi alle rocce, e intorno alle tre del mattino, quando la notte era ancora fonda, le Compagnie di prima ondata raggiunsero la posizione di partenza per l’assalto…”.

– L’alpino Emilio Michelato, di San Quirico, partecipante all’attacco di Croce San Francesco –

L’alpino Emilio Michelato, di San Quirico, scrisse nelle sue memorie:

“… Lì si aspettava la grande offensiva del San Francesco il 28.1.1918 di notte: il battaglione Sette Comuni, unito alla 143ª compagnia occupò la posizione con tutto l’equipaggiamento, mediante corde e maniglie sulla roccia a strapiombo. Noi della 108ª compagnia eravamo pronti a salire, intanto arrivarono rinforzi al nemico e non si poteva tenere la posizione: noi e il nemico eravamo a 15 metri di distanza l’uno dall’altro: nessuno sparava…”.
L’attacco di sorpresa dei reparti italiani ebbe inizialmente successo ma poi gli austriaci, chiamate le riserve, si organizzarono e bloccarono l’azione.

Ancora il comandante del Monte Berico:

Tutta la posizione di San Francesco venne conquistata e numerosi prigionieri caduti nelle nostre mani. Il nemico, riavutosi dalla sorpresa e potendo contare su rinforzi che aveva a portata di mano, contrattaccò con reparti d’assalto, ma la nostra bella 143ª resistette tenacemente e non appena raggiunta dalla 108ª, subito accorsa, contrattaccò a sua volta con estrema decisione dando luogo a selvaggi corpo a corpo nel corso dei quali cadde da prode il comandante della 143ª. Alimentato sempre da maggiori forze e appoggiato dalle posizioni retrostanti, l’avversario rinnovò i suoi contrattacchi finché le nostre compagnie, rimaste prive di munizioni e minacciate di accerchiamento, dovettero ripiegare di qualche metro sotto il roccione di San Francesco sistemandovisi definitivamente…”.

L’operazione verso la Croce di San Francesco costò ai reparti italiani la perdita di 4 ufficiali (1 morto e 3 feriti), 37 alpini morti e 94 feriti, quasi tutti del battaglione Sette Comuni. Dai dati in nostro possesso sembra che nessun alpino della valle dell’Agno sia tra i caduti di quel giorno.
Alle 6,30 di quel 28 gennaio, mentre sullo sperone di San Francesco si andava concludendo l’azione dei battaglioni Sette Comuni e Monte Berico, su tutto il fronte d’attacco si scatenò il violento tiro di preparazione dell’artiglieria italiana. Quasi 900 pezzi aprirono il fuoco, in alcuni tratti anche con proiettili a gas, disorientando l’artiglieria austriaca che rispose fiaccamente. Iniziava così la battaglia dei Tre Monti che vide severamente impegnati i fanti italiani, coadiuvati da bersaglieri, alpini e dal II reparto d’assalto. Nel pomeriggio di quel giorno furono conquistati il Col del Rosso e il Col d’Ecchele, mentre il monte Valbella fu ripreso solamente il giorno dopo.
La battaglia dei Tre Monti si concludeva perciò con un tangibile quanto prezioso successo territoriale, che ridava respiro alla precaria situazione sull’Altopiano dei Sette Comuni.
Il battaglione Vicenza, che durante la battaglia era rimasto in riserva a Col Piangrande, il 2 febbraio salì in linea, schierando la 60ª e la 61ª compagnia a quota 1109 sulle pendici del Sasso Rosso, tenendo la 59ª compagnia in rincalzo.
Preceduto da tiri di inquadramento, alle 17 del 10 febbraio si scatenò il fuoco dell’artiglieria austriaca, diretto soprattutto sulla linea avanzata verso Sasso Rosso tenuta dal Vicenza. Alle 18,30 reparti d’assalto austriaci, con lanciafiamme e lanciamine, attaccarono violentemente il settore, coinvolgendo gli alpini in furibondi corpo a corpo. Nonostante l’intervento della 59ª compagnia una parte della linea cadde in mano avversaria, tuttavia fu mantenuto il ciglio roccioso del Cornone, al cui consolidamento furono chiamati anche alcuni nuclei del Monte Berico prontamente accorsi.

Il Monte Berico che si trovava in riserva, fu impiegato assieme al Morbegno nell’azione di contrattacco italiano e si spinse verso la val Vecchia riuscendo ad avere miglioramenti sensibili delle posizioni. Pesanti furono le perdite subite dal battaglione Vicenza nel periodo 2-11 febbraio 1918. Secondo il Diario Storico del reparto esse ammontarono a 4 ufficiali morti, 9 feriti e 4 dispersi, mentre fra gli alpini si ebbero 51 morti, 76 feriti, 175 dispersi.
Tra i caduti anche il valdagnese aspirante ufficiale Tirondola Ugo Primo, anni 20 compiuti da un mese, fu Emilio e di Franceschi Antonia, abitante in Piazza Roma, impiegato. Era della 60ª compagnia e morì il 7 febbraio sul Sasso Rosso a causa dello scoppio di una granata. Alla sua memoria fu assegnata la medaglia di bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione:

– Il valdagnese aspirante ufficiale Tirondola Ugo, Medaglia di Bronzo –

Tirondola Ugo, aspirante ufficiale 6° reggimento alpini. Medaglia di Bronzo:

Sempre di esempio per coraggio e ardimento al suo reparto. Sprezzante del pericolo, cadde colpito a morte. Monte Cornone (Val Sugana)”.

Se ve ne fosse bisogno, il caso dell’aspirante Tirondola è uno dei numerosi esempi delle difficoltà che si incontrano nella ricerca di notizie. Il suo nome, infatti, non figura nell’Albo d’Oro dei Caduti, e la motivazione della sua onorificenza, consultabile in rete nel sito dei decorati al valor militare ma non nel volume del Nastro Azzurro sui decorati vicentini, riporta la data errata 10 dicembre 1917. Il 12 febbraio il Vicenza fu sostituito in linea dal battaglione Morbegno. Nei giorni seguenti si completò la sostituzione tra i battaglioni alpini, in modo che il 10° gruppo alpini poté raccogliere i propri reparti nella pianura vicino a Thiene, tra i paesi di Mirabella, Maragnole e Sandrigo.
Dopo un breve intervallo trascorso in riserva a Campese, i due battaglioni vicentini tornarono nelle retrovie: il Vicenza a Vicenza città e il Monte Berico a Polegge. Qui poterono beneficiare di un lungo e meritato riposo.
I combattimenti sostenuti sull’Altopiano nei mesi di gennaio e febbraio 1918 furono gli ultimi ai quali parteciparono attivamente i battaglioni Monte Berico e Vicenza. Essi, infatti, ebbero un ruolo del tutto marginale nelle due grandi battaglie sostenute dal Regio Esercito nel corso dell’ultimo anno di guerra, quella difensiva conosciuta come Battaglia del Solstizio (15 giugno – 6 luglio), e quella offensiva di Vittorio Veneto (24 ottobre – 3 novembre) che pose fine al conflitto.

di  Claudio Gattera